Chiamatemi un taxi!, mentre vi spiego il vero attivismo

La sindrome di Pamela Prati

Immagine generata con Copilot

Periodicamente ci risiamo: su Instagram, nella bolla transfemminista, esplode la polemica su cosa sia il vero attivismo e se si faccia solo nella piazze o anche online. Domenica scorsa ho avuto l’illuminazione e con un post ho riassunto la mia personale sintesi:

L’attivismo è con le persone e per le persone, a prescindere da dove si svolga

E potrei chiuderla qui. Ma voglio aggiungere un altro pezzettino, perché il punto non penso sia online o offline, ma la voglia di protagonismo di noi attivistə.

La sindrome di Pamela Prati

Quando parlo della “sindrome di Pamela Prati,” non mi riferisco alla persona Pamela Prati (che non conosco, ma che, per inciso, un mio parente ha visto negli anni ’90 in un ristorante a Desenzano!).

Sfrutto il suo personaggio come simbolo di quel desiderio di essere sempre al centro della scena, di volere tutta l’attenzione. Dentro ogni attivistə attivista scalpita una piccola Pamela che urla chiamatemi un taxi.

Come ogni sentimento, l’esibizionismo non va demonizzato: può essere uno strumento utile, se sfruttato per prendere il microfono in piazza e dire cose importanti, girare un video per condividere informazioni o andare in Comune (o dalle case farmaceutiche) per portare le istanze della comunità.

La differenza sta nel come gestiamo questa voglia di visibilità e se si riduce tutto ai like o agli applausi di un corteo (ma non sono in fondo la stessa cosa?). Siamo stronzə:

• se usiamo le piazze solo per essere ricordatə come lə attivistə “purə e crudə” del nostro territorio;

• se usiamo i social solo per scrivere post “ti spiego il patriarcato” o per seguire la polemica del giorno che fa aumentare i follower, senza dare alcun supporto a chi ci segue né creare una rete con altre realtà, online e sui territori;

• se usiamo il nostro ruolo per tagliare le gambe a chi vuole iniziare a fare attivismo insieme a noi.

A me (mi) sembra di camminare sempre sul filo del rasoio. È un attimo che quello che faccio diventa solo un modo per farmi dire quanto sono bravo, per ottenere una formazione.

A volte dal rasoio ci cado, con la faccia e il culo compresi. Altre volte, invece, trovo il giusto bilanciamento tra il mio bisogno di conferme che dicono che sono una brava persona e il fare qualcosa di utile per le nostre comunità.

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