Case Alloggio HIV/AIDS: cosa sono, perché ce n'è bisogno
Dalla marginalità all'autonomia: il ruolo dell'educazione professionale
Ciao sono Marco e ogni venerdì scopriremo dove testarci per HIV e le altre infezioni sessualmente trasmissibili (IST), come tutelare il nostro diritto alla salute e quali sono le ultime strategie di prevenzione e benessere sessuale.
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Facendo l’operatore alla pari per la salute sessuale si conoscono sempre belle persone. Al Milano Checkpoint ho incontrato Marco Prandelli, studente della magistrale in Scienze Pedagogiche della Bicocca.
Quando ho scoperto che ha lavorato come educatore professionale socio-pedagogico in una Casa Alloggio HIV/AIDS, gli ho subito proposto di parlarcene.
Perché nel 2025 servono ancora servizi socioeducativi per persone che vivono con HIV/AIDS?
Il progresso scientifico ha migliorato la vita di chi vive con HIV. Ma è così per tutte le persone?
I passi in avanti della biomedicina si riscontrano anche nelle Case Alloggio. La genesi catastrofica di questa condizione medica non ha niente a che vedere con il presente. Tuttavia, il miglioramento non è omogeneo: le persone che usufruiscono del supporto educativo delle Case Alloggio HIV/AIDS sperimentano ancora oggi problematiche dovute all’HIV. Per alcune le condizioni di oppressione si traducono in critiche condizioni sanitarie. Ma procediamo con ordine.
Che cosa sono le Case Alloggio HIV/AIDS?
Durante gli anni ‘90, per far fronte a situazioni di grossa marginalità legata all’HIV, in Italia si crearono delle comunità che offrissero un’assistenza extra-ospedaliera a soggetti in particolare difficoltà entrati in contatto con l’infezione.
Seguendo come quadro di riferimento la legge 135/90, le Case Alloggio nacquero in piena Emergenza AIDS con l’obiettivo di occuparsi di persone nella fase terminale. Prima dell’arrivo, nel 1996, delle terapie antiretrovirali ad elevata efficacia (HAART), questa condizione portava alla morte. Ma quell’anno si assistette ad una svolta epocale: i farmaci antivirali diminuivano i decessi, salvavano vite e portavano la speranza.
Cambiarono così anche le Case Alloggio: da dimore accoglienti dove i malati di AIDS privi di reti di supporto venivano accompagnati dignitosamente alla morte, si tramutarono in luoghi di possibile proiezione al futuro, che iniziò a poter esser preso in considerazione.
Oggi le Case Alloggio HIV/AIDS sono organizzate in
alta intensità sanitaria, dove risiedono persone con esigenze di attenzioni mediche e assistenziali
bassa intensità sanitaria, dove l’ospite è portato a co-costruire un percorso per l’emancipazione. La professionalità che principalmente accompagna tale processo è l’educatore professionale (sanitario o socio-pedagogico)
Dal 1997 il C.I.C.A. (Coordinamento Italiano delle Case Alloggio per persone con HIV/AIDS ETS) rappresenta le strutture di accoglienza rivolte a persone che vivono con HIV/AIDS. Si tratta di istituzioni che condividono i valori espressi nella Carta di Sasso Marconi (1994).
In Italia si contano 42 enti aderenti tra Case Alloggio, centri diurni e gruppi in appartamento. Sono distribuiti su 15 Regioni, soprattutto al Nord e nel Lazio, in coerenza coi tassi di incidenza dell’infezione e come conseguenza di politiche regionali differenti.
Tutte le Case Alloggio sono luoghi di supporto abitativo e pedagogico, ma temporaneo. Viene quindi auspicato il raggiungimento di una sempre più solida autonomia dell’ospite, conquistata nella transitorietà del periodo di assestamento trascorso nella Casa.
Gli educatori professionali sono facilitatori del metaforico viaggio che gli ospiti intraprendono verso l’autodeterminazione.
Chi vive nelle Case Alloggio?
Le Case Alloggio HIV/AIDS propongono un sostegno educativo a chi presenta bisogni socio-assistenziali correlati al vissuto di malattia. La precarietà e l’indigenza ostacolano l’adesione e l’accesso alle indicazioni terapeutiche, le quali diventano un privilegio.
Non si deve pertanto trascurare le specificità dei soggetti o semplificare la complessità. Le persone con HIV che versano in gravi condizioni di difficoltà non sembrano aver beneficiato del processo di risignificazione identitaria a seguito delle innovazioni scientifiche degli ultimi decenni.
Alcune persone HIV positive si collocano in posizioni di fragilità causate da molteplici fattori. In certi casi, la situazione di fragilità è tale da impedire loro un’equilibrata gestione della quotidianità.
Ci sono biografie in cui i livelli di svantaggio si sommano a ulteriori stati di marginalizzazione dal contesto sociale. Provenienza, genere, status socioeconomico si multistratificano, provocando condizioni di estrema emarginazione sociale.
Si tratta, per esempio, di periodi di carcerazione, dal momento che per certe persone la Casa Alloggio è una misura alternativa alla detenzione. Altri hanno retroterra migratori, oppure c’è chi presenta condizioni psichiatriche, estrema povertà, assenza di una fissa dimora, dipendenze da sostanze, lavoro sessuale, l’esperienza queer.
Quindi tra le mura delle Case rimbombano vissuti molto densi di natura diversa, sebbene tutti accomunati dall’HIV/AIDS. Inoltre, le condizioni di vita complesse hanno spesso impedito l’accesso ai servizi di testing, causando diagnosi tardive.
Ma U=U?
Il concetto di undetectability ha senz’altro modificato radicalmente la vita delle persone che vivono con HIV. U=U e TasP hanno eliminato il concetto di “malato di HIV”. Ma questo vale per tutti i casi?
Succede spesso che gli utenti giungano presso le Case Alloggio con una carica virale ancora alta, oppure che nel corso della loro permanenza nel servizio, invecchiamento, comorbidità e incompatibilità tra farmaci del piano terapeutico impediscano l’azzeramento della viremia.
Dopo anni di discriminazioni, stigma e sierofobia, il concetto di U=U sembra ancora poco radicato in alcune coscienze. Inoltre, ciò che principalmente accomuna le esperienze degli utenti sono la cronicizzazione e la nocività che l’HIV continua a causare nelle loro vite.
Nonostante siano sotto trattamento, le ripercussioni subite a causa della gestione sregolata dell’infezione e la tardività dell’intervento hanno compromesso seriamente le loro condizioni di salute. Come conseguenza, l’HIV per gli utenti delle Case Alloggio tendenzialmente non ha lo stesso valore che può assumere invece per una persona che si trova in una posizione più avvantaggiata.
Parecchi ospiti hanno avuto a che fare con infezioni opportunistiche, come ad esempio la neuro-toxoplasmosi, l’epatite di tipo C, il mollusco contagioso disseminato o ancora l’herpes zoster, le quali hanno compromesso certe funzionalità dell’organismo lasciando segni sui corpi e nelle trame dei vissuti.
Le conseguenti criticità socio-relazionali così come le compromissioni a livello neuro-cognitivo (demenze o encefalopatie da HIV) dovute dall’infezione mal gestita, richiedono un approccio non solo medico-sanitario.
Nei contesti come questi, le terapie hanno effettivamente allungato l’aspettativa di vita dei soggetti, ma rimane imperante la considerazione di HIV come una malattia, anzi la malattia più preoccupante, perché artefice di numerose problematiche.
I medicinali funzionano, ma le esperienze di grave difficoltà si fanno lo stesso sentire. Alcune conseguenze dell’infezione, come disabilità, malattie dementigene, tumori HIV correlati, multimorbidità e effetti collaterali dei medicinali, sembrano riportare l’ambientazione delle Case Alloggio a quarant’anni fa.
Quindi che cosa si fa nelle Case Alloggio?
Le Case Alloggio fungono anzitutto come una sorta di tregua dalle difficoltà della vita, un rifugio, una pausa spazio-temporale. Dopodiché, vengono pianificati percorsi di riaccompagnamento verso l’autonomia.
Risulta dunque fondamentale la presenza dell’educatore professionale, la cui funzione sembra quella di un copilota: si assicura che tutto vada bene, che il soggetto sia quanto più potenzialmente indipendente.
Centrale è il concetto di empowerment: si mettono in atto strategie educative che permettono all’ospite di reclamare il suo ruolo, di far sorgere nella persona maggior consapevolezza delle potenzialità che ha.
L’educatore porta gli ospiti a sviluppare nuove narrazioni di loro stessi e a decostruire dei ragionamenti auto-stigmatizzanti.
Concludiamo
È essenziale non dimenticarsi di chi attraversa un’esperienza di estrema fragilità. Se per molte persone che vivono con questo virus, l’infezione non può più essere considerata una malattia, per altre, appartenenti a categorie sociali particolarmente oppresse, l’HIV ha lasciato segni indelebili sul corpo, tracce di discriminazioni sistematiche.
Le Case Alloggio si impegnano proprio al fine di non lasciar indietro nessuno.
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Io sono Marco, sostenitore entusiasta della libertà sessuale. Presidente del Brescia Checkpoint, formatore, content creator e operatore alla pari.
Ciao Marco, domenica ho visto un'opera teatrale che aveva al centro proprio una casa alloggio (non statale) a qualche ora da New York, dove andavano a rifugiarsi due generazioni di uomini gay con AIDS o HIV positivi. L'ho vista in catalano a Barcellona, ma è di un drammaturgo statunitense: se ti capita, te la consiglio tantissimo: https://it.wikipedia.org/wiki/The_Inheritance_(opera_teatrale)
Sempre super interessanti e istruttivi i tuoi articoli ❤️